Nel giro di due settimane, la presunta band The Velvet Sundown è passata dall’inesistenza a oltre mezzo milione di ascoltatori mensili su Spotify.
Hanno già pubblicato due album completi, sono presenti in playlist famose e accumulano migliaia di follower. Ma c’è un dettaglio intrigante: potrebbero non essere reali.
Sui social media, le immagini pubblicate dalla band mostrano tratti tipici dell’IA:
I presunti membri — Gabe Farrow, Lennie West, Milo Rains e Orion “Rio” Del Mar — non hanno alcun registro affidabile al di fuori dell’universo digitale.
Le canzoni, sebbene ben prodotte, presentano elementi ripetitivi e freddi, comuni nei brani generati da IA.
Le voci variano da traccia a traccia, le percussioni suonano generiche e l’armonia richiama uno schema algoritmico.
Il sospetto ricade su strumenti come Suno, un’app che consente di creare fino a 500 tracce al mese per soli 8 dollari.
Ci sono speculazioni secondo cui Spotify stia riempiendo le playlist con artisti generati da IA per ridurre i costi dei diritti d’autore pagati ai musicisti reali.
Anche se questa teoria manca ancora di prove, il caso di The Velvet Sundown riaccende il dibattito sulla trasparenza nelle piattaforme di streaming.
Un altro possibile scenario riguarda l’uso di bot per gonfiare artificialmente i numeri di ascolto, creando una bolla di popolarità che attira la curiosità del pubblico — e la loro inclusione in playlist popolari completa il ciclo.
La biografia della band afferma che le loro canzoni sono una fusione tra rock psichedelico anni ’70, folk rock vintage e pop alternativo moderno.
Gli arrangiamenti includono riverberi caldi, organi delicati, tremoli eterei ed elementi che richiamano una “storia musicale”, ma che suonano troppo perfetti e generici, come se fossero progettati da un algoritmo per piacere al pubblico.
L’account ufficiale di The Velvet Sundown su Instagram sembra abbracciare l’artificialità: foto stilizzate con tratti da IA, riferimenti parodici a copertine iconiche come Abbey Road e Queen II, e nessuna interazione personale che suggerisca l’esistenza di esseri umani reali dietro al progetto.
La piattaforma Deezer ha recentemente riferito che il 20% delle canzoni caricate negli ultimi mesi è stato creato da IA — un numero raddoppiato in soli tre mesi. E tutto indica che questa tendenza sia ben lontana dall’arrestarsi.
Stiamo assistendo a un nuovo tipo di esperimento artistico: band che non esistono, ma che affascinano e diventano virali.